Michele Ignazio D'Amuri
Di Staff (del 21/06/2007 @ 12:35:25, in Tradizioni, letto 3655 volte)
Scrittore e poeta gesuita, custode e valorizzatore del dialetto di Grottaglie. Pietro Michele(questo il suo nome di battesimo) nasce a Grottaglie il 24 luglio 1910 da Giuseppe e Maria Carmela Falsanisi.

Dopo aver compiuto le prime classi ginnasiali presso i padri Gesuiti, entra, nel 1923, nella scuola apostolica di Lecce, dove frequenta il ginnasio. La sua autentica e forte vocazione lo induce a seguire la strada della Compagnia di Gesù: nel 1925 parte per Napoli dove, due anni dopo, viene ammesso al noviziato in Villa Malacrinis al Vomero. Emette i voti il 27 settembre 1927. Dopo aver compiuto gli studi di rettorica, parte(il 29 settembre 1929) per Chieri, dove compie il triennio di filosofia. Nel 1935 a Posillipo, inizia gli studi di teologia.

A soli 27, nel 1937, pubblica una prima raccolta di poesia, Padre Nostro, silloge illustrata dedicata ai bambini, pubblicata presso Josef Mueller di Monaco. L'anno dopo, il 28 luglio 1938, viene ordinato sacerdote nel Gesù Nuovo di Napoli, dal vescovo di Foggia, mons. Fortunato Farina. Nel 1940(dopo aver compiuto a Firenze l'ultimo anno di noviziato) viene inviato al Pontificio seminario teologico di Catanzaro come ministro; da lì venne ben presto chiamato a Trieste, come cappellano militare, ma viene congedato di lì a poco perchè il suo apporto a Catanzaro viene considerato indispensabile. Il 22 settembre padre D'Amuri perse tre quaderni di poesia nel rogo che distrusse il seminario.

Nel 1943 arriva a Taranto come docente di lettere all'istituto S. Luigi. Vi resterà numerosi anni e qui riprende con grande intensità la sua produzione poetica. Nel 1945 da alle stampe il primo volume di poesie, Onde, che riscuote consensi numerosi. Ma passeranno molti anni perchè riprenda, questa volta con maggiore intensità, la pubblicazione delle sue raccolte di poesie e meditazioni. Nel 1960 torna a insegnare a Lecce e qui pubblica la terza edizione di Onde che resta, fino ad allora, la raccolta di maggior successo. Ma nel 1962 altrettanta eco riscuote Enimmi, una silloge che si impone per i nuovi contenuti e per la rivoluzione stilistica che ha percorso i versi di D'Amuri. Nel 1963 viene trasferito a Bari, all'istituto Di Cagno Abrrescia dove continuerà a insegnare fino al 1978. Si spegne il 21 gennaio 1986 nell'ospedale barese Di Venere.

L'attività poetica di Michele Ignazio D'Amuri, sviluppatasi nel corso di mezzo secolo è caratterizzata da una ricca produzione, che è fatta da una ventina tra sillogi poetiche e meditazioni, di versi musicali(tra i quali l'Inno a San Francesco de Geronimo, musicato, nel 1939 dal maestro L. Lopalco, l'Inno dell'Istituto delle Missionarie del Sacro Costato, musicato nel 1959 a Trento da maestro C. Eccher, A Gesù Bambino, musicato nel 1974 dal prof. Vincenzo Mancino, a Grottaglie), di vari scritti ancora inediti, tra cui un melodramma in due atti, intrapreso all'età di appena vent'anni e rimasto imcompiuto, Il Fiordaliso Il suo itinerario poetico, che pure si snoda per vari decenni, e conosce una maturazione tematica e formale tutta da considerare, lascia intravedere dei punti fermi che possono essere considerati un minimo comune denominatore: il rimpianto dell'infanzia dell'età felice, il legame viscerale con la sfera affettiva: famiglia-casa-paese-patria; ricerca formale non scevra di sperimentalismi ed esercitazioni, di attenzioni alle correnti letterarie che, in concorso, formano in lui una coscienza estetica dell'esposizione e della comunicazione; una testimonianza di fede che estrinseca, oltre che in un più o meno espresso moralismo(che a volte risulta un pò gravoso, così da costituire per qualcuno un problema d'accostamento), soprattutto nella enucleazione dei segni di speranza.

Si evidenzia, inoltre, nella poetica damuriana, un pessimismo del cuore contraddetto palesemente dall'ottimismo della ragione, che in fondo è semplicemente atto di adesione spirituale e meditato al credo religioso. Reimpossessarsi di quella voglia di ridiventare bambini, disprezzando la vanità di un uomo adulto e violento equivale, per il poeta, al reimpossessarsi ideale dei mezzi espressivi più capaci di rimanere vincolati all'oggetto, alla tematica, anche a costo di essere accessibile solo a un pubblico sempre più ristretto. Agonare il silenzio diviene la sublimazione di questa condizione, quasi uno stadio per giungere alla perfezione. E il gioco dialettico che in lui svolge proprio il silenzio gli ha meritato l'appellativo di "poeta del silenzio". Come lo ha chiamato, nel saggio critico del 1977, Vincenzo Romano.

Ma là dove D'Amuri raggiunge il più alto livello di sintesi di tutti i valori poetici, filtrati dalla memoria, ed estetici, è sicuramente nella poesia dialettale, che poi segna la sua piena maturità. Le sue tre raccolte Pi strate e tiempi antici(1973), Quanna la sera scenne(1975), Pò la notte è vvinuta(1978) si propongono, tra l'altro, come patrimonio linguistico(anche se il suo intento non è certamente quello filologico) preservando immagini letterarie, termini, luoghi sentimentali, consuetudini, che appartengono ormai alla storia delle tradizioni popolari. I tre volumi di poesia dialettale, dal punto di vista tematico, seguono un itinerario evolutivo preciso: in Pi strate e tiempi antici D'Amuri tenta di reimpossessarsi degli strumenti espressivi specifici utili per descrivere, con pienezza di linguaggio, sentimenti e stati d'animo legati al passato della sua terra e alla sua storia sentimentale. In Quanna scenne la sera, il poeta che ha già gustato la piena adesione del linguaggio all'espressione del suo animo, lo separa dal contenuto, ne fa una lingua "universale". Infine, in Po' la notte è vvinuta che è il compimento della sua testimonianza d'amore per la sua terra, egli dà maturità al linguaggio e se ne serve per un'opera di alta poesia, che ha in sè ancora le suggestioni dell'infanzia e diventa messaggio spirituale con il mezzo più efficace. Il poeta va ancora oltre, però, proponendo, accanto alla poesia in dialetto, una traduzione in italiano che è "altra poesia". Così in Tinn'hè scè! lirica struggente e appassionata, che sembra riassumere il suo itinerario poetico.

Tratto dal libro: GROTTAGLIE, UOMINI ILLUSTRI, Silvano Trevisani

Gir: 24 ore su 24, 365 giorni all'anno, dalla Citta' di Grottaglie