La sollevazione delle Grottaglie, 1734
Di Staff (del 12/07/2007 @ 00:25:48, in Tradizioni, letto 4545 volte)

L’inizio dei moti si verificò il 19 maggio 1734. Un tal Andrea La corte, condannato al carcere per non aver soddisfatto un creditore, si pose alla testa di un gruppo di artigiani, e percorse le vie del paese emettendo grida di ribellione: dinanzi al palazzo Cicinelli fece sosta ed obbligò il caporale dè birri Ricciardo a ritirarsi: minacciò anche di appiccare il fuoco a qualche edifizio. In què giorni il duca Giovanni Battista Cicinelli si trovava a Napoli per rendere il doveroso omaggio di sudditanza al nuovo re Carlo di Borbone.

Tornato a Grottaglie verso la fine di giugno, e messo a conoscenza dell’accaduto, ordinò la cattura del Lacorte e degli altri tumultuanti. Ma la mattina del 2 luglio uno solo si lasciò acciuffare, Francesco Greco, e tutti gli altri fecero in tempo per riparare nella chiesa, ove il diritto d’immunità locale li teneva al sicuro. Ne uscirono il giorno appresso, si armarono di archibugi e pugnali, di zappe e ronche, che si conservavano nella bottega dè fratelli Domenico e Nicola Lenti e si diedero a girar per l’abitato gridando e tumultuando. Li seguì da principio un forte nucleo di artigiani, tra cui Domenico Mariniello, Francesco Annicchiarico, Vito Cancelliere, Vito Esposito, Liborio Manigrasso, Geronimo Maranò, Paolo Anti, Marino Intermite, Giuseppe Lombardo, Giacomo Lupo, Giuseppe Malvaso, ecc.;ma non tardarono ad aggiungersi individui del ceto civile, capeggiati da dottori in legge Giacomo Trani, Francesco Gaeta, Donato D’Alessandro, e dallo stesso sindaco del paese, Geronimo Baccaro.

 

La presenza di questi ultimi aumentò il bollore de’ dimostranti. Mandarono in pezzi gran numero di porte; penetrarono nella farmacia di Nicola Vacca, e vi ruppero centotrenta vasetti di medicine; piombarono sul Palazzo della Corte e ne asportarono tutte le scritture che vi conservava l’attuario Meo; per mezzo dell’avvocato Francesco Gaeta mandarono a imporre al duca Cicinelli che consegnasse le chiavi delle carceri, e, avutele, ne liberarono Ciro Conte, Pasquale Chianura e il su detto Francesco Greco. Vedendosi intanto accresciuti di numero, fin oltre cinquecento, imbaldanzirono di più. “Il popolo comanda” urlarono e corsero presso il palazzo Cicinelli, chiamarono il duca dal balcone, lo caricarono di vituperi, l’obbligarono a consegnar loro i vari libri dell’Università e le chiavi de’ molini, gl’intimarono di mandar via i guardiani e tutto il personale. Divenuti così padroni della situazione, stabilirono guardie e ronde per la città. Il giorno successivo, quattro luglio, i torbidi ricominciarono, mentre i dimostranti divenivan sempre più numerosi.

Catturarono tutti i guardiani del duca e ventiquattro altri suoi dipendenti; imbattutisi in un suo corriere presso Porta S. Angelo, gli scaraventarono due colpi di fucile. Saputo che il duca era per istrada con intenzione di allontanarsi da Grottaglie, lo rincorsero e lo costrinsero a tornare nel palazzo, ove anch’essi penetrarono in massa…quindi i rivoltosi cacciarono fuori dalla città, a suon di campane, diversi amici del duca, e poi corsero al convento del Carmine, che sapevano da lui calorosamente protetto. Bastonarono il portinaio, ruppero le porte, tirarono colpi d’archibugio alle finestre del Padre Baccelliere, penetrarono nel sacro luogo e ne trasser fuori e trascinarono in carcere quanti vi si eran rifugiati, Giuri, Manigrasso, Capocchia, Gabriele Pignatelli agente del duca, Vito Lacava, Michele Giovanniello, Giuseppe Petrarolo, ecc.

 

Lo stesso Priore del convento fu spogliato dell’abito ecclesiastico e trascinato così nel mezzo della piazza, ove deriso e schernito dalla plebe dovè restare fino all’ora del tramonto. Nella serata si volle una processione religiosa, e il duca dovette andare con un crocifisso tra le mani, d’accanto al venerabile…La mattina del sei arrivò il notar de Vincentis, e insieme con lui, in casa dell’avvocato Gaeta, si dette un ultimo lavoro di lima alle minute delle capitolazioni. Come queste parvero ben stilate, mandarono a chiamare il duca che non potè tardare a obbedire, e recatisi tutti insieme in piazza, gliele fecero sottoscrivere. Affinché non sembrasse in alcun modo coartata la volontà del feudatario, finsero che fosse lui stesso a volere qualche aggiunzione. Bruciarono poi tutti gli atti del processo che la local Corte aveva iniziato contro di loro, e ripresero le dimostrazioni d’esultanza per l’inaugurato nuovo ordine di cose. La libertà parve raggiunta. Non ci fu più motivo, di lì a qualche giorno, d’impedire al duca, che si recasse in un podere di sua proprietà, poco distante da Grottaglie…Gli fu facile di mettere le autorità superiori ed il re stesso a conoscenza di quanto era accaduto nel suo feudo.

La mattina del 27 luglio, quando nessuno se lo aspettava, vi arrivò un avvocato fiscale dell’Udienza, insieme con non pochi birri e un’intera compagnia di soldati spagnoli. Immediatamente egli procedette alla cattura dei sediziosi… I processati tentarono una possibile difesa querelando il duca Cicinelli per abusi di potere e trasformandosi così da convenuti in attori; ma le tante ingiustizie e le tante provocazioni sofferte non valsero a scusarli. S’illusero pure di poter godere del generale indulto con cui il clementissimo Carlo di Borbone iniziò il proprio regno, e rivolsero suppliche all’Udienza provinciale, alla Gran Corte della Vicaria di Napoli, allo stesso Sovrano. Tutto fu inutile. Il 9 ottobre 1735 si trattò, definitivamente, la causa in Vicaria, e il 7 novembre fu pubblicata la inappellabile sentenza: “Magna Cohors Vicariae delegata declarat non gaudere indultu”.

 

I poveri grottagliesi dovettero espiare inesorabilmente la pena. E a’ soliti abusi da parte del feudatario s’aggiunse allora la rabbia della vendetta. Resa insopportabile la patria dimora, ben duecento famiglie lasciarono Grottaglie, e non vi fecero più ritorno.

FONTE: ARTICOLO DI G. GRASSI.


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