TOTEM E TABU'
Di Carlo Caprino (del 04/02/2008 @ 09:36:39, in Editoriali, letto 2578 volte)

Si è appena conclusa la “due giorni” che, con foc’ra e processione, segna il clou dei festeggiamenti in onore di San Ciro; non è forse ne troppo presto ne troppo tardi per abbandonarsi a qualche riflessione. Per la prima volta, da che io ricordi, si è corso il rischio che la pira, già spostata e “dimagrita” nel corso degli anni, non raggiungesse neppure dimensioni accettabile all’occhio del fedele meno esigente.

La causa? Molto banalmente, la mancanza di legna, ti lioni, ti fascine, ti strome, necessarie per la realizzazione della struttura di supporto e di contorno del grande falò. Oramai i li saramenti di vigna e li sobbracavadde degli olivi, residui della potatura tradizionalmente effettuata nelle settimane che precedono la festa patronale, vengono tritati direttamente in campagna con appositi attrezzi mossi dai trattori; chi non è dotato di simili ausili tecnologici spesso si limita a bruciarli n’ta llù fore, altro che sobbarcarsi pure la fatica di caricarli sul portapacchi dell’auto o nel cassone ti lu lape per portarli nello spiazzo in cui da qualche anno viene allestita la pira.

 

 

Questo evento, grave per qualcuno e banale per altri, è comunque sintomatico, tanto da avere richiamato alla memoria comune due paragoni, uno distante nel tempo e l’altro nello spazio. Il primo risale a qualche anno fa, quando a Grottaglie la catasta di legna già pronta per la foc’ra andò incidentalmente a fuoco due giorni prima della data del 30 gennaio; senza por tempo in mezzo la pira venne ricostruita in un giorno, testimoniando disponibilità di legna e mano d’opera. Parlando quest’anno con i “mestri focari”, non si poteva non percepire la loro amarezza, tutti più anziani che adulti, tutti ammaestrati in passato da anni e anni di collaborazione con chi, prima di loro, aveva l’onore e l’onere di innalzare quest’altare provvisorio, ma non per questo meno suggestivo, al santo patrono, tutti preoccupati perché quando la loro salute non gli permetterà più di sostare in equilibrio precario su un cumulo di fascine di legna sollevate a braccia incuranti della tagliente aria invernale, forse la foc’ra non si farà più.

 

 

Il secondo esempio, più emblematico e significativo, è quello della “Fòcara” di Novoli, nel leccese: un appuntamento che ricorre ogni anno a metà dicembre diventato momento di culto in tutto il Salento, la cui rinomanza ha superato i confini italiani. Tanto la pira grottagliese si è rimpicciolita, tanto quella leccese è cresciuta, superando – si dice - i 20 metri d’altezza per altrettanti di diametro. Ma la questione, evidentemente, non è solo la dimensione del falò, ma quello che in qualche modo questo simboleggia: a Novoli la focàra attira più di cinquantamila persone, sono stati predisposti sette parcheggi di cui uno esclusivamente riservato ai disabili, oltre a collegamenti diretti da e per Lecce con autobus a tariffa agevolata. Poiché l’ardere di un falò, per quanto suggestivo, è alla lunga abbastanza “noioso” per chi non viva la cerimonia religiosa, ecco che a beneficio di residenti e turisti nella cittadina del Nord Salento vengono organizzati una serie di eventi collaterali: la “Festa della vite del Parco del Negroamaro”, la designazione del “viticultore distintosi nell’anno”, una rassegna gastronomica il “Festival dei ritmi” e le “processioni sonore” con tamburellisti salentini e musicisti stranieri.

 

 

Quali siano stati gli eventi grottagliesi, carità di patria consiglia di tacerlo, anche perché riportati in pochi manifesti pubblici, affissi per giunta in ritardo. Ecco l’ennesima replica di copioni già andati in scena, ovvero lo sprecare, l’ignorare, il dissipare potenziali momenti o situazioni in grado di dare una vitale boccata d’ossigeno alla economia locale e di caratterizzare a beneficio di turisti e residenti dei beni che fanno (o facevano?) parte della nostra cultura. Noi gettiamo via insulse pietruzze, altri le raccolgono, le lucidano e scoprono sono diamanti: Grottaglie è città di ceramiche, ma è a Rutigliano che hanno organizzato il festival sul fischietto di terracotta, la stessa Rutigliano che ha raccolto lo scettro di città regina delle uve da tavola, con tanto di festa – occorre dirlo – a carattere internazionale, ben più organizzata, pubblicizzata e frequentata dei due miseri banchetti grottagliesi in cui la gente faceva la fila come ai tempi della tessera annonaria per avere un cestino d’uva. Quelli che noi anni fa designavamo sprezzantemente poppiti si sono rimboccati le maniche, hanno fatto diventare taranta e pizzica balli a la page, hanno tappezzato spiagge e centri storici con magliette e felpe che inneggiano al loro dialetto ed alla loro salentinità, vendute a caro prezzo a turisti italiani e stranieri; non facciamo il solito piatto col galletto, però a decalcomania, che con i costi non ci stiamo più dentro, mentre la nostra una viene venduta da decenni a mediatori campani che impongono prezzi al limite del ricatto.

 

Basta guardarsi intorno, e il panorama è sempre più desolante… prima era solo Martina Franca ad imporci sudditanza (e la storia dei principi Cicinielli sta li a dimostrarlo), poi altri paesi della Valle d’Itria – che qualche anno fa, diciamolo come si dice, “no’ parevano manco sulla carta geografica” – hanno seguito l’esempio: Locorotondo, Costernino e Fasano tra i primi (Ostuni è un mondo a parte, vabbè essere cinici, ma anche io ho una coscienza e non voglio girare troppo il coltello nella piaga…), seguito oggi da Ceglie Messapica e Villa Castelli, proprio quei paesi che i grottagliesi guardavano con malcelata sufficienza e che oggi hanno sagre, locali pubblici e ristoranti che nella città delle ceramiche ci sogniamo.

E i nostri assi nella manica? Eh, da mo’ che ce li siamo giocati…. La mostra del presepe (la cui idea – si dice - fu copiata anni fa ad una città del nord Italia) oscilla – a sentire i bene informati – tra una faida di veti incrociati e un ritrovo di vecchi amici in cui Tizio premia Caio gli anni pari e Caio premia Tizio gli anni dispari; e intanto a Brindisi, in un centro storico risanato in pochi anni (di quello di Grottaglie non parlo, bhe lo prometto, farebbe male anche a me…) si tiene una mostra internazionale che attira – tanto per cambiare – frotte di visitatori. Noi il nostro momento di gloria lo abbiamo avuto negli anni ottanta, quando l’architetto Martini, nel bene e nel male, faceva ogni estate della “mostra della Ceramica” un evento culturale che travalicava i confini di “fore la porta”, esperienza strangolata da un immobilismo intellettuale e da una miopia culturale più forte di ogni perseveranza.

 

 

Da allora ad oggi non ci siamo fatti mancare niente: gravine usate come discariche “fai da te”, chiese vecchi di secoli e malinconicamente sbarrate, la sala che ospitava la congrega del Purgatorio crollato forse per vergogna propria e per incuria altrui, locali ipogei sconosciuti ai più, l’elenco potrebbe continuare, e sarebbe incompleto. Che fare?
Marco Carrino, direttore di “Li Vù”, nuovo mensile grottagliese in edicola col numero 0 in questi giorni, nel suo editoriale di presentazione parla chiaro e con i suoi collaboratori prova a dare una sferzata alla “calma piatta” della cittadina delle ceramiche, unendosi ai lodevoli sforzi delle altre “vox clamantis in deserto”, come i ragazzi di “Grottaglie In Rete” ed altre associazioni locali che vogliono ribellarsi a questo stato di cose con l’entusiasmo della gioventù e l’apertura mentale che l’uso di Internet stimola e favorisce; se Grottaglie sarà “il paese delle discariche” o tornerà ad occupare il ruolo che la sua storia e il suo passato meritano è presto per dirlo; noi con qualche anno di più alle spalle possiamo unire ai loro sforzi la consapevolezza degli errori passati e degli orrori presenti, cercando tutti insieme di sillabare una nuova grammatica: dopo un passato prossimo di siderurgia, un imperativo di rifiuti, un condizionale aeronautico ed un ceramismo imperfetto è ora di coniugare un futuro fatto di tradizione e innovazione, di cultura ed economia, senza totem e senza tabù.

Ai posteri l’ardua sentenza.

Carlo Caprino


Gir: 24 ore su 24, 365 giorni all'anno, dalla Citta' di Grottaglie