I CERAMISTI DI GROTTAGLIE, SAGGIO: IL FASCINO DELLE FORNACI E IL MISTERO DELLA COTTURA
Di Stefania Elia (del 23/08/2013 @ 17:07:53, in Grottaglie mia, letto 1361 volte)


La fornace
La fornace è una componente fondamentale ed è presente in ogni bottega. La sua importanza era tale che, alcune volte, era tradizione attribuirle un nome scaturito dalla fantasia o dalla fede religiosa del proprietario della bottega. Era consueto celebrare anche un battesimo alla presenza di un sacerdote che avveniva il giorno della prima accensione sotto gli occhi attenti del “mestru”, dei familiari e degli operai della bottega.

La fornace manteneva lo stesso nome nel corso del tempo, anche se, venivano apportate modifiche e riparazioni che ne alteravano la struttura originaria. Di solito era lo stesso fornaciaio a costruirsi la fornace servendosi dell’aiuto degli operai della sua bottega e lui stesso si occupava di preparare i materiali. Il progetto di costruzione seguito era quello tradizionale tramandato da padre in figlio che, talvolta, subiva delle modifiche atte a correggere dei difetti che si riscontravano dopo la costruzione.

Inizialmente, i forni venivano costruiti all’aperto a causa del fumo e delle ceneri che producevano, riparandoli dalla pioggia con delle tettoie fatte di paglia e canne intrecciate. Con il passar degli anni, le fornaci furono circondate da mura e inglobate nelle botteghe sia per proteggerle meglio che per impedire la dispersione di calore e sfruttarne in parte per la fase dell’essiccamento. Sul tetto della bottega, in corrispondenza della fornace, si apre il camino, le cui dimensioni variano a seconda del tiraggio che deve sviluppare; più la fornace è grande più esso è alto e largo, talvolta, viene coperto da lastre metalliche da aprire o chiudere in base al tempo atmosferico o alle necessità di tiraggio.

Quando la bottega era scavata nel tufo calcareo, la fornace era incavata nella grotta con un passaggio stretto scavato nella volta tufacea che fungeva da camino. Se lo spessore del tufo sovrastante, non consentiva di costruire un condotto che permettesse ai fumi di uscire, il tiraggio avveniva attraverso la porta d’ingresso della grotta. Le fornaci usate per la cottura della ceramica rustica sono fornaci verticali, in quanto il tiraggio avviene attraverso i fori della volta, a fiamma libera in quanto i gas, i fumi e le ceneri penetrano liberamente dentro la camera di cottura e i manufatti da cuocere sono esposti alla loro azione diretta, a fuoco intermittente in quanto vi è un intervallo di tempo tra una cottura e la successiva.

La struttura della fornace
Analizzando la struttura tipica di una fornace possiamo notare che essa comprende:

la camera di combustione che si trova nella parte inferiore ed è chiamata in dialetto “lu fuconi” munita di bocca di accesso. Essa rappresenta la parte più importante della fornace. «Costruita di regola totalmente o parzialmente interrata nel suolo per limitare dispersioni di calore, essa ha forma quadrata o rettangolare, è piuttosto bassa e ha nella volta una serie di robusti archi in mattoni refrattari che reggono il piano forato i cui fori si aprono tra arco e arco» racconta Ninina Cuomi Di Caprio. Essa assolve la funzione di vano nel quale avviene il processo di combustione.

la camera di cottura detta “lu caminu” che si trova nella parte superiore di dimensioni proporzionate alla camera di combustione, dotata di ingresso e di volta con sfiatatoi. L’apertura è abbastanza larga e consente di inserirvi manufatti di grandi dimensioni ed è anche molto alta al fine di rendere possibile l’impilaggio dei manufatti. Il vano è costruito in muratura, rinforzato all’esterno da blocchetti di tufo che ne consolidano la struttura e ne migliorano l’isolamento termico. Le pareti interne sono rivestite con argilla mischiata a paglia tritata, un intonaco che viene rinnovato ogni tre o quattro cotture perché l’azione corrosiva del fuoco lo fa staccare a pezzi.

Sui muri della fornace, ai lati dell’accesso alla camera di cottura si aprono dei piccoli fori tondi detti le “fucalore” che hanno il compito di attivare la circolazione dei gas caldi necessari alla cottura dei manufatti. «In tutta la parte retrostante della camera di cottura il tiraggio viene invece attivato attraverso i fori esistenti nella volta, volta formata da archi costruiti con “orieni”, ossia tubuli di terracotta di forma cilindrica, cavi all’interno e terminanti ad un’estremità con una protuberanza a pomello che si incastra nella cavità dell’oriene attiguo. Affiancati l’uno all’altro e cementati con argilla, gli archi di orieni formano una volta a botte di estrema leggerezza che si scalda molto più velocemente di una copertura a mattoni pieni» racconta ancora Ninina Cuomi Di Caprio.

Per permettere la fuoriuscita dei gas e dei prodotti di combustione alcuni degli orieni sono forati e, quindi, comunicano con l’esterno. Nelle fornaci di piccole dimensioni la copertura può essere costituita da mattoni crudi posti scalarmente sino a congiungersi nella chiave di volta in cui si aprono uno o più fori per il tiraggio. All’interno della camera di cottura vi è un piano forato detto “raticola” sostenuto da robusti archi su cui viene posizionato il materiale da cuocere. Esso funge anche da divisorio orizzontale tra le due camere.

A seconda delle dimensioni e del peso che deve reggere il piano forato ha spessore più o meno elevato. Viene costruito con mattoni refrattari messi in costa sopra gli archi. A volte, il piano forato, può essere costituito da materiale di scarto quali fondi di vasi affiancati l’uno all’altro. Negli interstizi tra arco e arco si aprono i fori, rotondi o rettangolari, in numero maggiore nella zona periferica e in numero minore nella zona centrale. Numero e disposizione dei fori incidono sulla distribuzione omogenea del calore e sulla buona riuscita dell’infornata.

la semi – colonna costruita sul fondo della camera di combustione detta “la scalata” il cui compito è quello di ricevere l’urto del fuoco facendolo divergere verso i due lati. La base della “scalata” è costruita in mattoni refrattari mentre la parte superiore è formata da vasi di scarto intervallati tra loro sino a creare una parete discontinua senza alcun riempimento o sostegno, motivo per cui è molto fragile e deve essere rifatta ogni tre o quattro cotture. La parte inferiore rompe l’urto del fuoco e lo spinge ai lati mentre quella superiore rallenta il fuoco e lo lascia filtrare nelle varie direzioni. In questo modo il calore si distribuisce in maniera omogenea.

Alcune fornaci possono presentare delle varianti nell’impianto strutturale. Nel tipo di fornace detta “a bocca e fuconi” la posizione della camera di combustione corrisponde a quella della camera di cottura. I rispettivi accessi si trovano l’uno sotto l’altro e per accedere alla camera di cottura bisogna utilizzare delle lunghe assi di legno che fungono da ponticello.

Il fornaciaio si trova allo stesso livello della camera di combustione e lancia il combustibile ad altezza di braccio. Egli lavora in uno spazio ristretto, di pochi metri quadrati, essendo a ridosso della fornace, spazio che viene ulteriormente ridotto dalla banchina, su cui viene posizionato il combustibile, che si trova alla sua sinistra per potersi riparare meglio dalle vampate dopo aver lanciato la palata di sansa. Le dimensioni della banchina devono essere sufficienti a contenere la quantità di combustibile necessaria alla cottura che dipende dal numero e dal tipo di manufatti, dal sistema d’impilaggio, dalla temperatura e dalle dimensioni della fornace.

Nelle fornaci di grandi dimensioni, invece, i due accessi si aprono su due lati diversi della fornace. Quello della camera di combustione è frontale mentre quello della camera di cottura è posto su un fianco della fornace. Ciò consente una maggior facilità di carico e scarico dei manufatti. Inoltre, quando a infornamento completo l’accesso della camera di cottura viene murato con cocciame ed argilla, la fragile chiusura corre minor rischio di essere investita dagli spostamenti d’aria provocati dall’accensione del combustibile.

La chiusura laterale permette al fornaciaio di evitare parte del calore che gli si getta addosso durante la cottura. Le dimensioni e le caratteristiche delle fornaci variano a seconda del tipo di produzione della bottega e della forza lavoro ivi presente. Alcune botteghe arrivano ad avere due, tre o anche quattro fornaci in modo che in una fornace si cuoce e l’altra si carica per la cottura successiva.

Disposizione dei manufatti all’interno della fornace
Lo sfruttamento dello spazio e la posizione dei manufatti, all’interno della fornace, richiedono il rispetto di alcune regole dettate dall’esperienza. L’impilaggio dei manufatti rappresenta una vera e propria opera d’ingegneria, che richiede giorni di lavoro al fornaciaio coadiuvato dai suoi operai. In ogni fornace, il numero dei pezzi che possono essere infornati, varia in base alla dimensione del forno, alla grandezza dei manufatti e al modo in cui vengono disposti.

I manufatti vengono posti l’uno dentro l’altro per risparmiare spazio ma ciò provoca un rallentamento del ciclo termico. Il fornaciaio deve caricare il materiale combustibile con maggiore lentezza del solito, in modo tale da cuocere prima i pezzi posti dentro la camera di combustione, e poi, in un secondo tempo, far salire il fuoco nella camera di cottura, attraverso il piano forato. I manufatti posti nella camera di combustione si trovano a contatto diretto con il fuoco e con il combustibile acceso ma non subiscono danni perché sono privi di rivestimento vetroso. Inoltre, assumono un colore più rosso rispetto a quelle cotte nella camera di cottura perché sono facilmente soggette a colpi di fuoco, cioè a macchie con alone bruno rossastro.

Generalmente, i manufatti di piccole dimensioni, vengono posti dentro quelli grandi e sono tutti posizionati con la bocca all’ingiù. Per la “robba rustica” sia che sia grezza o ingobbiata in prima cottura, non importa che i pezzi si tocchino tra loro perché non c’è pericolo che si attacchino, fenomeno che accade alla “robba gialla” in monocottura. Per evitare che i manufatti si attacchino il fornaciaio usa dei distanziatori (cocciame in terracotta) e sta attento che i pezzi si tocchino solo nelle parti non invetriate, ovvero fondo e orlo.

I manufatti dotati di coperchio, devono essere cotti con il coperchio in posizione, onde evitare che, dopo la cottura le due parti non coincidano. Per risparmiare combustibile e mano d’opera si cerca di riempire tutti gli interstizi allo scopo di ottimizzare al massimo gli spazi. Sul piano forato il fornaciaio posiziona il materiale che sopporta alte temperature, negli strati più alti quello che deve essere schermato dal calore, infine, lungo le pareti della camera di cottura, dove il calore passa più velocemente, vengono impilati “robba rustica” e “robba gialla” in monocottura. La “robba bianca”, in seconda cottura, viene sistemata al centro della fornace dove, le aperture del piano forato, vengono chiuse sia per dosare il passaggio delle fiamme, sia per evitare che la polvere si incorpori nel rivestimento stannifero, danneggiandolo.

Non è facile impilare i pezzi alti, anche più di un metro, senza causare danni e crolli. Il fornaciaio deve, inoltre, puntellare le pile dei manufatti lasciando lo spazio necessario affinché i gas caldi possano salire verso l’alto permettendo la cottura degli strati superiori. Egli deve tener conto della forma dei pezzi e salvaguardare le fragili anse poco adatte a sopportare il peso, calcolando la resistenza, non solo dei pezzi crudi, ma anche del biscotto che è sempre più debole. Tra i manufatti che richiedono maggior attenzione e cura nell’infornatura ci sono i piatti. Essi, per la loro forma sono difficili da sistemare, in quanto formerebbero un piano unico che impedirebbe il passaggio dei prodotti di combustione, bloccando il tiraggio.

In tempi passati, quanto anche la seconda cottura avveniva in fornace a fiamma libera, durante la cottura detta “a colori”, i piatti rivestiti con l’invetriatura stannifera erano posti dentro contenitori di terracotta chiamati “case” per evitare il contatto con la polvere e le ceneri e per sfruttare al meglio lo spazio all’interno della fornace, evitando il rischio che, i piatti posti in basso, siano schiacciati dal peso di quelli sovrastanti. «Le case erano robusti cilindri in terracotta dalla parete forata ad intervalli regolari da piccole aperture tonde in cui venivano infilati degli isolatori che servivano da appoggio ai piatti in modo che non si toccassero l’uno con l’altro. Ogni cilindro poteva contenere in media 25 piatti piccoli oppure 15 di misura superiore, e veniva chiuso col suo coperchio poi bloccato con argilla, oppure con un piattu ordinariu posto capovolto. Appilate l’una sull’altra dentro la camera di cottura le case assumevano l’imponente aspetto delle colonne di un tempio» racconta ancora Ninina Cuomi Di Caprio.

Il sistema di infornatura, che richiedeva l’uso delle “case”, comportava alla bottega una produzione continua di questi contenitori che resistevano al massimo per dieci cotture. Per velocizzare la produzione il vasaio, una volta eseguita la modellazione del contenitore, pressava leggermente contro la parete umida una tavoletta di legno da cui sporgevano dei chiodi che segnavano i punti corrispondenti alle distanze che dovevano intercorrere tra un piatto e l’altro. Ripeteva questa operazione per tre volte lungo il perimetro del contenitore al fine di ottenere tre file verticali di segni equidistanti tra loro. Allargava questi segni con un bastone dal piccolo diametro e perforava la parete creando dei fori in cui venivano inseriti gli isolatori che reggevano i piatti. Questi, però, per quanto piccoli, lasciavano dei segni sul rivestimento dei piatti.

Per proteggere le “case” dal calore, a ogni cottura, venivano ricoperte sul lato esterno con un impasto di argilla mista a paglia tritata. Solitamente dopo cinque o sei cotture il contenitore si frantumava in più pezzi, veniva affidato così al “conzacase” operaio specializzato nella loro riparazione che ricomponeva i frammenti saldandoli con uno strato d’argilla e paglia tritata. La “casa” così poteva essere riutilizzata ancora per due volte. Con la cottura “a colori” realizzata dentro le “case” si ottenevano risultati migliori rispetto a quelli raggiunti con le moderne fornaci elettriche perché lo smalto raggiungeva maggiore lucentezza.

La chiusura della camera di cottura
Una volta completato l’infornamento dei manufatti, l’apertura della camera di cottura veniva murata con cocciame e argilla di scarto, cui è stata aggiunta in quantità abbondante, paglia tritata per aumentare le possibilità di dilatazione dell’impasto e per ridurre il pericolo di crepe. In questa chiusura il fornaciaio apre dei fori, uno grande in alto verso la volta e altri fori più piccoli disseminati a distanza regolare che gli permettono di guardare all’interno e di seguire l’andamento della cottura.
La fornace è finalmente pronta per l’accensione del fuoco.

Il presente articolo è una riduzione ed un adattamento di alcune parti della tesi di laurea in Dialettologia Italiana della dottoressa Stefania Elia, intitolata “I CERAMISTI DI GROTTAGLIE - SAGGIO LINGUISTICO” e presentata nell’Anno Accademico 2011 – 2012 presso il corso di laurea in Filologia Moderna - Facoltà di Lettere e Filosofia della Università degli Studi di Bari. Non è consentito l’utilizzo e la riproduzione in tutto o in parte, con alcun mezzo, di quanto pubblicato senza il preventivo ed esplicito consenso della autrice, che può essere contattata alla email stefania.elia@alice.it (N.d.R.)


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