IO E TE IMMERSI TRA LE LUCI E LE OMBRE DEL MEDITERRANEO DOVE LE VOCI SI FANNO DESTINO
Di Pierfranco Bruni (del 21/10/2013 @ 06:30:45, in Cultura, letto 953 volte)

Cara Eleonora, mia cara Eleonora, da dove cominciare? Si ama sempre con un inizio incerto o una passione sfrecciante. Noi siamo stati incerti ma intrecciati nell’attrazione. Ora cerchiamo di dare un senso a tutto o di chiedere spiegazioni o forse giustificazioni. Siamo profondamente dentro l’amore fino a quando si resta anonimi. Nel momento in cui le certezze ci intrecciano si viene aggrediti dal dubbio. E il dubbio c’è. C’è il dubbio che tracima emozioni e trascina il nostro sentire tra le onde dell’oblio. Poi è come se incontrassimo delle pause dentro lo spazio della passione. Siamo eredi di un passato che diventa nostalgia.

Sai qual è la pesantezza di un amore? L’aggressione della nostalgia. È come se l’amore avesse un suo piacere nel pessimismo e si diventa stanchi. Non chiedermi perché si diventa stanchi? Ti ho ascoltata nella lettera che mi hai inviato rimproverando il mio comportamento. Ma io non ti ho mai attribuito responsabilità. Ti ho camminato con la dolcezza e ti ho sempre parlato con la massima chiarezza. Metti in dubbio la mia impeccabilità. Hai tutta la libertà nell’impossibile stato di grazia che tenti di rincorrere. Ma ciò detto, il resto mi sembra inequivocabili.

 

 

 

Il nostro è stato amore. L’amore ha sempre alcuni spigoli che diventano finestre. L’amore recita anche il disamore. Tu chiamalo indifferenza il viaggio verso il disamore, ma alla fine cosa cambia? Dirti che non ti ho amato è impossibile. Ma il mio disamore, l’ho già scritto, è dovuto al tuo comportamento, anzi ai tuoi comportamenti, alla tua assenza, alle tue vaghezze, alle tue distrazioni. È possibile mai che non trovi alcun difetto nel tuo rapportarti con me?

Il gioco oltre a sembrarmi strano mi sembra inutile. Ti ho amata con tutto ciò che era possibile e anche nell’impossibile sei stata nella mia presenza. A un certo punto sei diventata assente, distratta, vaga. Una mia sensazione? Una mia percezione? Può essere. Io catturo, da un dettaglio, i sintomi di questa percezione e sono infinitamente sottili tanto che a raccoglierli diventa difficile, ma io riesco ad aggomitolare i fili. Ma quante volte ti ho recitato il mio canto d’amore?

E poi cosa è accaduto? Non so, credimi, cosa sia accaduto. La realtà vive sempre al di fuori dall’amore tra due amanti. Noi non ci siamo amati di un amore normale. Ma cosa significa la normalità in amore. Noi siamo stati amanti. Lo siamo ancora?

 

 

 

Essere amanti cosa comporta? Non dormire insieme, non condividere intere giornate, alzarsi al mattino e non trovarti e non trovarmi, preparare il caffé da soli… Gli amanti sono sempre soli. Vivono di solitudine. Quando si incontrano si attraversano in un tempo cinico, in un tempo tiranno, in un tempo che cesella l’armonia e la disarmonia. Gli amanti sono sempre degli sconfitti e, nonostante tutto, hanno il sorriso della bellezza. Gli amanti hanno dalla loro parte la bellezza.

E ogni incontro, pur misurandosi con il tempo cinico e tiranno, conosce la bellezza. Perché la bellezza è un attimo. Un attimo che continua a vivere nelle solitudini. Noi siamo stati sorpresi da tutto questo. La bellezza è un attimo e nell’attimo si consuma la passione e la distrazione all’ombra degli oblii.

Mia cara Eleonora, non è nelle mie intenzioni recitarti i luoghi e le attese delle mie distrazioni. Abbiamo vissuto il gioco infinito degli arcobaleni. Ti ricordi quando ti ho parlato del fatto che agli arcobaleni manca sempre un colore? Allora non dovrebbe essere considerato un arcobaleno? È sempre un arcobaleno. Nella geografia della sensualità si crede all’invincibilità. Gli amanti si credono invincibili. Anche noi credevamo di essere invincibili.

Ma non è così. È nel mistero di ogni storia che gli amanti pensano di trasformare in un destino. Vedi, cerco di non dare risposte alla tua lettera e di non accennare a delle repliche. Continuo, invece, il discorrere delle precedenti mie lettere ed è come tentare di superare le tue recriminazioni. Vorrei continuare nel sublime del tuo sguardo. Ma le tue distrazioni hanno ucciso il mistero e l’immenso del sublime è una teoria estetica che trova il suo fascino ma si perde nei segreti.

Voglio ora ripensare ad un tuo concetto. Mi ami e questo amore ti deve condurre all’indifferenza. Perché poi parli di indifferenza e non di disamore? Tra di noi non ci sarà mai odio. Vedi, il passo tra l’amore e l’odio è brevissimo. E viceversa. Tu insisti sull’indifferenza. Io, invece, calco il mio passo sul disamore. Ma sono intercettazione dell’animo. Non dettagli. Io mi pongo, comunque, un’altra meditazione. L’indifferenza o il disamore possono rompere lo steccato di freddezza e far ritornare, tra di noi, la passione, l’attrazione, l’amore?

Credo che tutto possa essere possibile. Però basta non chiederlo, non cercarlo, non perfezionarlo. In amore la perfezione uccide il disordine che c’è tra due amanti. Noi siamo stati amanti. Come amanti siamo stati imperfetti nelle intermittenze, direbbe Proust, del cuore, dell’anima, dei sogni. Quando manca il sogno, tra due amanti, incide una realtà, che può diventare terribile. Noi ci siamo arresi al terribile perché, in fondo, abbiamo sempre custodito i nostri segreti nella sofferenza delle rinunce e nell’allegria.

Siamo stati amanti e lo siamo ancora. Io ti parlo di disamore con pacatezza e con pazienza ma tu continui a restare dentro di me. Non ostinarti con il sottolineare la necessità dell’indifferenza. Non voglio porre sul piatto della bilancia cosa possa pesare di più. Ma sia l’indifferenza che il disamore sono sentieri che li usiamo per cercare di farci del male sapendo, comunque, che non possiamo fare a meno io di te e tu di me. Riconosciamolo una buona volta. Ce lo siamo detti quando tu stretta tra le mie braccia eravamo un tuffo d’anima unico. Ora abbiamo preso la piega del ragionamento.

Ma l’amore non può conoscere la ragione e tanto meno le ragioni pascaliane del cuore. È una confessione, la mia. Diamo l’oblio al disamore e tu non parlarmi più di indifferenza. Perché dopo aver letto la tua lettera ti dico queste cose? Domandatatelo. Io non risponderò, ma già confessando ciò è comprensibile il resto o il tutto. Non pensare che voglia farti cambiare idea sul fatto dell’indifferenza. No, non si tratta di questo. Ma come puoi dire di amarmi imponendoti di essere indifferente nei miei confronti. Ognuno di noi, è vero, ha un proprio modo di chiudere una storia e di vivere la fine di una storia.

Ma noi siamo stati una storia? Siamo una storia? O siamo un destino. Ho pensato tanto a questa differenza tra storia e destino. È certo che non siamo un tempo. Non siamo il tempo che passa. Il tempo lascia le sue pieghe e le sue ferite sul nostro volto ma noi siamo la sabbia della clessidra. Credo, piuttosto, di camminare in un destino impercettibile, a volte, dove è possibile incontrare il tentativo del disamore e la risposta dell’indifferenza. Ripenso a quei giorni trascorsi tra le vie e i colori della Medina di Tunisi. Eri una donna araba. Avvolta in quel lungo foulard azzurro e mi puntavi i tuoi occhi. I tuoi occhi avevano il colore di un verde precipitato nell’arancione di un tramonto.

Eri bellissima. Io ero stato invitato per presentare un mio libro dal titolo “Asmà e Shadi” e tu avevi un appuntamento con una galleria d’arte per programmare una tua mostra. I colori dei tuoi quadri avevano i colori d’Oriente. Le parole di Asmà e Shadi avevano i bagliori dell’Oriente. Io e te immersi in un immenso Mediterraneo. Quanta stanchezza nella sopportazione di vivere un amore a meta. Anzi una storia a metà in un amore destino. Ho pensato molto a quei giorni trascorsi tra le voci e il racconto di un mondo arabo.

Forse è quell’Oriente che mi allontana dal raccontarti parole di disamore. Siamo distanti. Il mare di Tunisi è una lontananza. È diventato ricordo. Io non voglio ricordare? Sì, te l’ho scritto. Tu, invece, vuoi che il ricordo rimanga a farti compagnia per catturare l’indifferenza. La nostra partita si gioca sui ricordi e sulle dimenticanze? Forse sì? La prossima lettera mostrerà ancora le mie intermittenze? Ancora Proust mi ha insegnato che si vive tra i piaceri e i giorni e mi allontano da un amore che cerca la sua eutanasia come mi ha detto Giorgio Saviane.

Ma non voglio fare letteratura. Figurati se posso fare letteratura sul nostro amore anche se tu mi hai rinfacciato proprio questo. Nella vita c’è la letteratura. Come nella tua ci sono i colori, le immagini, lo scatto delle albe e dei tramonti. Siamo due artisti. Ma gli amanti, ricordi Bigiaretti(?), sono artisti. Ripenso alle nostre serate nei crepuscoli di Tunisi, ai suoni della Moschea, al vocabolario arabo. Quanti accenti arabi sono nella tua voce? Io e te immersi tra le luci e le ombre del Mediterraneo dove i colori sono nell’immensità delle parole e le voci si fanno e sono destino Il nostro Oriente? Io che non amo i ricordi, vedi, ti ho portato lungo la strade delle ricordanze.

I ricordi ci salveranno? Forse è nei ricordi che è possibile trovare tracce di fedeltà? Non ti chiedo di rispondere. Noi siamo fatti di partenze. Partenze e non ritorni. Ho rivisto il mio viaggio. Ora ti saluto e mi concedo da te ritirandomi nella mia pazienza. Ti troverò? Io con il disamore e tu con l’indifferenza. Mi verrebbe da sorridere. Comincerò la prossima lettera con un sorriso.
Promesso.

Ma tutto ciò che qui rimane sospeso non sarà motivo di ulteriori chiarimenti. Non so dirti cosa scriverò ancora.
Aspettami. Tu aspettami.

Francisco


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