NEL MIO ORIENTE. NON SO SE LA LUNA Č AD ORIENTE…
Di Pierfranco Bruni (del 23/10/2013 @ 06:01:34, in Cultura, letto 791 volte)

Mi parlavi ancora più piano. Eravamo tra le strade di Scutari. Il tuo sorriso mi scorreva tra gli sguardi. Eri bella. Con il foulard che ti copriva il capo e gli occhi erano due stelle nel tramonto. Ci siamo detti parole e ci siamo offerti silenzi. E poi: “Cancellare il tempo e vivere il presente come se fosse il sempre. Cancellare lo strazio della perdita e lacerare le lontananze per restare nell’immobilità. Non so a quale tempo io possa riferirmi. Certo, c’è sempre il tempo delle nostalgie. Ma, credimi, le nostalgie sono un tempo e restano dentro i vari tempi della vita e non bastano le parole a spiegarlo. Non bastano le parole a farci capire…”.

Lo so. C’è sempre un treno che attraversa i miei pensieri ma non li porta via. Rimangono lì e si lasciano ascoltare proprio nelle pause. Anzi sono loro stessi delle pause. I miei pensieri sono delle pause…”.

“I tuoi pensieri sono delle pause perché si distaccano da tutto. Ma anche da tutti. In queste pause, in quelle tue pause non sei solo tu a fermarti. Ma è come se si fermasse il mondo. Che dico… È come se si fermasse il tempo tra gli intagli di una malinconia che racconta sempre la stessa storia. E la nostra storia è sempre una storia di anima….”.

“Non capisco. Cosa significa una storia di anima? È come se l’anima avesse storia o è come se l’anima potesse vivere attraverso la storia?”. “La storia dell’anima? Mi pone davanti una domanda senza senso. Ma non credo neppure che si possa parlare di senso, di orizzonti, di viaggi decifrabili. No… il discorso non è come cerchi di impostarlo tu. Io non ho mai parlato della storia dell’anima come visione storica. Ma come sensazione, emozione, percezione, passione…”.

“È un intreccio che coinvolge anche il senso storico che viviamo ora, domani, poi…”. “Non creiamo però confusioni. Lasciami finire. Le sensazioni… Da questo punto di vista credo che l’anima possa avere una sua storia se riesce a mettere insieme le emozioni, le sensazioni, i vuoti e le pesantezze. E anche qui il gioco che si incastra tra le parole è fatto, naturalmente, di metafore. Mi chiedo: come poter vivere senza le metafore? Le metafore hanno una loro cifra e lanciano dei segnali precisi
”.

 

 

Questo nostro dialogo sembrava un fiume in piena. E poi nel mezzo si incastravano i silenzi. I nostri silenzi. Eravamo sempre tra le strade di Scutari. Una città quasi assente. Ormai anonima. Non mi lasciava nulla tranne qualche odore di impasti vissuti in una civiltà che non sa essere né da una parte né dall’altra. Una città stretta nella storia e nel tempo. Mi hai preso per mano e mi hai detto: “Non so perché ti ho chiesto di portarmi qui. Forse ho sentito un richiamo. Io vivo di chiamate e di segni. Ma perché qui? C’erano tante città, tanti luoghi, tanti sogni… Eppure ho sentito di venire qui”.

Non mi meraviglio. Certe sensazioni si avvertono e non hanno bisogno di spiegazioni. Si avvertono e basta. Tu cerchi di capire. Vuoi spiegarti e chiedi a me di spiegare perché questa tua scelta. Ci sono tagli nell’anima che diventano misteriosi e non devi cercare giustificazioni, motivazioni e tanto meno devi scavare nel pensiero. Prima o poi tutto si spiega da sé”.

“Sì, comprendo quello che mi vuoi dire ma io devo, necessariamente almeno immaginare, cosa mi abbia spinto a venire qui…”.
A lungo mi hai stretto la mano. Ci siamo incamminati tra quelle strade sporche, anonime, assenti. Ricorrevano spesso due parole, ora ricordo, nel nostro discorrere. L’essere anonimi e l’essere assenti. Eppure qui c’è storia, qui c’è stata storia. E non si tratta di metafore e neppure del nostro cesellare su cosa è la storia dell’anima o se l’anima ha una storia

“L’assenza, l’anonimato dei luoghi ma è come se qui io ci fossi già stata. E non vedo le cose come se fosse la prima volta. Anzi avverto, sì avverto, un qualcosa di magico che non riesco però ad afferrare…”.
Siamo poi ritornati in albergo. Suoni balcani e cantilene di infanzia nei corridoi. Musiche che hanno un ritmo arabo. Il mediterraneo che incombe e si incontra con l’adriatico. L’eco di danze e di suoni sui nostri passi e nella nostra mente. Avevi negli un colore di cielo e sulle labbra un sapore di vaniglia. Ci siamo amati a lungo. Sino a sera tarda. Il tuo corpo sembrava avvolto in una nuvola di sabbia e sulla tua pelle lasciavo segni di vento. Le tue labbra di vaniglia.

“Vorrei restare così a lungo. Tra le tue braccia. Ci eravamo quasi smarriti e qui ci siamo ritrovati. Come per incanto. Sai, questi echi orientali, questo intreccio di musiche mi danno sensazioni straordinarie. Mi eccitano. Sanno di passione….”.

“La luna entra nel tuo silenzio e tu sei carne e sangue. Non resti un ricordo. Ti amo senza raccogliere l’inafferrabilità dell’attesa. Amore che nel vento mi conduci proteggimi con le tue ali”.
“Perché mi reciti versi? Ho ben capito. Mi hai risposto con una poesia e sono ricca delle tue parole…”.
“Amami nella dimenticanza. Mi lascerò possedere dalla tua anima. Tu sei deserto e pioggia. Sei vento o sei marea?”.
“Sei tu che mi conduci nella passione. Vivo, in questo momento, uno strano desiderio di misterioso. Non ti so spiegare. L’atmosfera, questa città che non dice nulla eppure mi affascina nel di dentro senza sapere perché e senza capire… Le tue poesie, il nostro ritrovarci qui… Senti. C’è la pioggia”.
“La pioggia ha un suo linguaggio…”
“Noi siamo qui, in questa stanza, e la pioggia ha una lenta cadenza. Si è fatto anche buio. Portami a cena ma non smettere, ti prego, di recitarmi versi. È come se vivessi in un incanto
”.

 

 

 

Mi parlavi ancora più piano. Siamo usciti. La strada, il buio. Una serata in una città senza luci, senza i fiocchi delle insegne, senza lampioni. Solo una piccola onda di luna, una falce di luna accompagnava i passi. Una falce di luna dava ombra ai nostri passi. Una leggera pioggia inumidiva i capelli. Ti ho portata a cena dove le danze e i suoni erano un ritmo antico. C’erano le ragazze in costume con colori e fasce che facevano un cerchio tra i pizzi della gonna. Costumi di Albania. E i canti erano una nenia in un racconto d’amore straziante.

Non parlavi più. Ascoltavi e mi guardavi come se volessi domandarmi non so cosa e poi soltanto mi hai chiesto di abbracciarti e di non abbandonarti. Sottovoce accompagnavi quelle nenie. I tuoi sguardi avevano la leggerezza del sogno. Siamo rimasti lì fino all’alba. Anche quando tutto era finito eravamo noi due soli mentre i camerieri aspettavano la nostra andata. Non osavano dirci nulla ma era comprensibile. Saresti rimasta chissà per quando nell’incantesimo di quegli attimi anche con la musica che aveva smesso le sue nostalgie. Ci siamo avviati. Ed era quasi l’alba. Non c’era più il buio. Già qualche bicicletta percorreva lo stradone. Era cominciato l’ultimo giorno a Scutari. In silenzio fino all’albergo.

Ma poi… “Ora puoi portarmi via. Bisogna cancellare il tempo e vivere nel presente. Forse hai ragione. Ma chi diceva che bisogna cancellare il tempo? Io o tu? Sono confusa. Si cancella il tempo. Certo. Ma resta nell’anima. Come si cancellano i paesi e non bastano i ricordi o le memorie che si fanno nostalgia. Persino la storia si cancella. Anzi, sono ormai convinta che la storia non solo non ha senso ma è senza senso. Scusami per il bisticcio ma le storie sono una ricostruzione e poi si possono anche inventare”.

“Forse sì o forse no…” “Le storie sono racconto e dobbiamo affidarci a chi racconta la storia pur affermando, da sempre, che la storia ha bisogno dei documenti. Rido davanti a queste maestose affermazioni. Di maestoso, di straordinariamente maestoso, c’è solo il mistero che cammina nel tempo”. “Spiegati. Fammi capire. Non essere vaga…” “Ecco. La storia è sempre una ricostruzione, una ricostruzione di come i fatti sono stati visti e sono stati letti e scritti. Forse l’ideologia non morirà mai. Anche pensare alla morte dell’ideologia è una invenzione. Chi mi parla ancora di documenti… Lasciamo stare… È maestosa quest’alba che entra nel giorno. La pioggia di ieri sera e la mezza luna che giocava con i nostri passi… Sono maestosi i nostri silenzi in quell’incontro affascinante con le danze e le musiche. È maestoso fare l’amore mentre il mistero del tempo sfiora, come un vento di primavera, i nostri capelli, i nostri corpi… È maestoso ascoltare le voci delle maree senza stare lì a chiedere. Ormai possiamo andare via. Il tempo e l’anima sono inafferrabili…”.

“Non capisco. Mi sorprendi. Il tuo distacco…”. “Non chiamarlo distacco. Ma soltanto disincanto. Per capire la realtà bisogna entrarci dentro. Bisogna far parte della realtà. Lacerarla e poi affidarsi a quelle voci che ognuno di noi ha dentro di sé. Non lasciarsi mai condizionare dalle voci che gli altri si portano dentro. Ecco, allora, sì che ha senso cercare di penetrare l’anima, il tempo senza però lasciarsi afferrare o ferire dai ricordi”. “Ma i ricordi sono nella vita. Anzi sono la vita…”.

“ I ricordi non sono mai imparziali e noi, comunque, ci doniamo ai ricordi e a volte li consideriamo come l’altra parte di noi, forse quella migliore o forse quella che ci manca, non so… Ma ti prego, non pensare al mio distacco”. “Ma eri così meravigliata, stupita, affascinata…” “Lo sono ancora. Cosa vai a pensare? Vedi, la pioggia di ieri sera ha lasciato pozzanghere agli angoli dei marciapiedi. Noi eravamo incantati dai ritmi Balcani e fuori la pioggia, il buio, il silenzio, la cronaca, la storia… Dai, portami via. Nella inafferrabilità del tempo e dell’anima il misterioso non smette di trasmettere sensazioni”.

“Certo, ti porterò via ma ascolta, con pazienza, sia il tempo che l’anima. Come tutto il misterioso che ci incanta viviamo nell’indefinibile… Nell’indefinibile.
”.

Mi hai teso la mano cercando la mia mano. Con tenerezza. Ci siamo stretti con la percezione di una intesa. Ho recitato, con la voce rotta dall’emozione, un frammento: “Non so se la luna è ad Oriente o se i crepuscoli giungono con i tramonti dell’Occidente… Non so se il filo dei giorni intesse parole di roccia o acqua di fiume. Tu non sei l’aurora che cercai e neppure porti memorie ma sei il sogno. E di sogno è fatto il tuo sguardo negli orizzonti che intrecciano silenzi.

Forse l’amore è nel mistero di un incontro. E tu ne sei il segno con gli echi del vento…”. Ho notato il tuo sguardo smarrito. Forse era vero, non c’era alcun distacco. E forse non c’era in te, neppure, smarrimento. Il tuo silenzio andava oltre le parole. Tra le strade di Scutari. Ti ho semplicemente detto che i silenzi, a volte, sono una carezza e restano nel tempo e nell’anima.


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