CRAXI CI SALVÒ DAI COMUNISTI E ORA CHI CI SALVERÀ DAL GOVERNO NAPOLITANO – LETTA?
Di Pierfranco Bruni (del 16/01/2014 @ 05:02:28, in Cultura, letto 1032 volte)

C’è una crisi politica che si manifesta in una indecifrabilità del ruolo istituzionale. Le democrazie occidentali sono democrazie di “fatto” perché hanno alla base un processo parlamentare, il cui concetto di Stato è “Stato di diritto”. Ciò non toglie che anche nei processi parlamentari la democrazia trova le sue chiavi di lettura in un percorso che può essere finalizzato nella visione e affermazione ontologica di Nazione.

L’Italia, soprattutto, in questa fase vive di contraddizioni che sono di ordine politico e di ordine prettamente istituzionale. È come se non avesse più una sua storia e una sua tradizione intrecciati tra pensiero politico e pensatori che hanno fatto della politica un agire tra etica e morale. Da Machiavelli in poi, in modo particolare, il pensiero si è intrecciato con l’azione. Ma nella stessa visione di Dante, il Dante politico, il raccordo tra pensiero e l’agire oltre il pensiero aveva assunto un “particolare” significativo.

Si pensi alle pagine dell’Alighieri sulla “monarchia”, ma anche al suo impatto con il potere sia politico che religioso. La sua “ira” nei confronti di Bonifacio lo pone al centro di un “regolamento di conti” in termini di “giustizialismo politico. Dante, nella sua storia e nella sua “ragione” umana e politica, non aveva nulla di Seneca: anzi, in molte occasioni, si contrapponeva alla saggezza di Seneca, ovvero la sua impreparazione politica e la sua arroganza e superbia nel tentare di fare politica si scontrava con la paziente visione del mondo del pensiero di Seneca, il quale, lontano dalla teologia della prassi politica, resta ancora oggi un riferimento, se pur dimenticato volutamente.

 

 

 

Ma noi siamo figli di Seneca o di Dante? Io certamente, con la mia storia testimoniata, appartengo a Seneca. La politica di questi giorni ha la languida superbia dell’invettiva dantesca. La contrapposizione è in fieri e sta “a priori” di ogni metafisica del pensiero moderno. Con Machiavelli si confronta Mazzini in quanto, come direbbero ancora Giovanni Gentile e Giuseppe Prezzolini, resta un “profeta”, anzi un profeta disarmato.

Ma Mazzini è lo spartiacque tra la religione della politica con i suoi valori e la politica come ideologia teologica vera e propria che trova in Gioberti e Rosmini due modelli di un cattolicesimo in progresso verso una transizione del liberalismo e del riformismo. Oggi dove siamo? Non credo che siano state vincenti le due forme di liberalismo: crociano e gentialiano (per molti aspetti). Non credo che abbia ad esistere un pensiero cattolico – liberale alla don Sturzo. Gli stessi cattolici, che si inventano una politica già democristiana, sono più verso il versante dell’incontro con il comunismo, ora definito solidarismo con alle spalle o un retroterra marxista e poi gramsciano, che verso una democrazia in cui il valore liberale è un miscuglio di interessi che sono prettamente economici.

D’altronde, questa Europa e questo governo italiano non hanno mai posto al centro la cultura dell’umanesimo, nonostante il dibattito sia ritornato di attualità tra la metodologia delle scienze e la centralità dell’uomo. L’Europa non nasce intorno a valori condivisi sul piano di una identità spirituale, ma intorno agli interessi dei mercati.

 

 

 

Se da una parte è possibile intravedere uno sfrenato liberalismo dall’altra il materialismo storico ricompare con le antiche mire che sono quelle dell’occupazione del potere. La gravità di questo contesto è che manca una filosofia della politica. La contraddizione alla quale si faceva riferimento prima sta tutta nel gioco della definizione di democrazia. Il perno centrale rimane la Presidenza della Repubblica. In una Nazione come l’Italia non c’è una Repubblica presidenziale, eppure il Governo è un Governo presidenziale.

Lo è nei modi lo è nei fatti altrimenti il Presidente del Consiglio non reggerebbe agli urti pesanti del quotidiano realismo e realtà. Nella cosiddetta prima Repubblica la democrazia era salva e la si è salvata per un atteggiamento di Stato di diritto esercitato dal socialismo riformista. Bettino Craxi è stato il fautore di un riformismo, che ha posto su due piani diversi responsabilità forti. Da una parte la dominazione cattolico – democristiana, almeno sino alla morte di Moro (1978) e dall’altra il sabotaggio politico del Partito Comunista, almeno sino alle Amministrative del 1975 e alle elezioni politiche dell’anno successivo ricordate come l’anno del tentato (o tentativo) sorpasso.

Poi c’è stata una convivenza strana che definirei del dubbio giacobinismo. Da una parte maggioranza e minoranza (ovvero cattolici e comunisti) e dall’altra i socialisti riformisti (vanno ricordati gli anni tra De Mita e Craxi). Il vero avversario dei comunisti non era il mondo cattolico e democristiano (si pensi al compromesso storico e alle larghe intese), ma il socialismo riformista guidato, appunto, da Craxi. Craxi ci ha salvato dai comunisti e non i cattolici democristiani. La storia ormai bisognerà rileggerla con i parametri della politica e non con la dimensione ideologica.

La crisi politica nella quale l’Italia si è tuffata e con la quale convive è il rimando di una crisi istituzionale che ci mostra una confusione di ruoli. L’Italia e gli italiani non si meritano un siffatto modo di governare: dalla Cancellieri alla ministra di questi giorni, dal tradimento applicato a Berlusconi alla non comprensione del ruolo di Letta, Renzi e Napolitano. Oibò, in quale Paese viviamo? Credo che occorra un risveglio di coscienze, una capacità critica, una conoscenza della storia, una dignità istituzionale e una saggezza che debba provenire dalla coerenza e non dai già comunisti dai già democristiani e dai già tutto. È uno Stato educato al “Resistere” del Procuratore Borrelli che intimorì la ragione del fare politica.

Lo cita Claudio Martelli nel suo recente libro, molto bello e vero, “Ricordati di vivere”. Bisogna ricominciare vivere la politica con la dignità del pensiero e del coraggio, oltre gli impervi nascondimenti di esercitare potere oltre lo Stato di diritto.


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