Giuseppe, il santo, è la figura, anzi il modello, del padre esemplare ma non di quello che usa il proprio potere in maniera autoritaria ma colui che risolve i problemi più intricati: una vera e propria icona di affidabilità e sicurezza per qualsiasi figlio e moglie. Tuttavia Giuseppe fu ai suoi tempi e per molti secoli, un personaggio imbarazzante vista la sua personale vicenda e addirittura c’è chi durante il periodo del primo socialismo lo riteneva “scomodo” operaio infaticabile che non rivendicava mai i propri diritti!
Se Gesù è stato considerato dai contemporanei più rivoluzionari dal punto di vista del pensiero etico-religioso il primo “figlio in provetta”, allora Giuseppe – ricordato e solennemente celebrato nel giorno della cosiddetta “festa del papà” – non è un padre naturale! Giuseppe è un personaggio difficile, quasi imbarazzante: la verità indiscussa della perpetua verginità di Maria lo pone infatti, fin dai primi secoli del cristianesimo, nello complesso ruolo dello sposo casto per volere supremo e a capo di una famiglia dove la moglie e il figlio (in tal caso adottivo) sono entrambi molto superiori a lui perché figure aventi diretto contatto con il divino.
È un inizio duro per l’ascesa del Giuseppe-santo che ai suoi tempi aveva un nome di battesimo pochissimo diffuso fra i cristiani, almeno fino alla fine del Quattrocento, quando appunto cominciò a diffondersi, grazie soprattutto alla propaganda dei francescani.
Uno dei tanti vangeli apocrifi [dal greco απόκρυφος (ἀπό = da + κρύπτω = nascondere), cioè vangeli non riconosciuti come ufficiali n.d.r.], il Protovangelo di Giacomo, pare lo raffiguri anziano proprio per offuscarne l’inattività sessuale, e anche vedovo, per spiegare in questo modo la menzione di presunti “fratelli” di Gesù nei Vangeli. L’età avanzata di Giuseppe è stata sempre una sua peculiarità, nonostante i tentativi di ringiovanirlo da parte di teologi e storici, facendo così della castità di Giuseppe una scelta non obbligata che lo avvicina spiritualmente alla Vergine.
Tuttavia la diffidenza dei cristiani verso lo sposo di Maria sta proprio in questa sua somiglianza con un personaggio tipico delle novelle satiriche, lo sposo anziano tradito dalla giovane moglie e costretto ad allevare un figlio non suo. Versione che schernisce il ruolo di Giuseppe e che è riproposta da molte opere d’arte sacra: dal ritratto del contadino goffo, che suscita il riso per la sua inabilità di artigiano, alla sua incapacità di mantenere dignitosamente la moglie e il figlio. E sino alla fine del medioevo egli non viene mai rappresentato da solo proprio perché ha poca autorità, ed è sempre un po’ separato dai personaggi più importanti, Gesù e Maria. Soltanto dal Quattrocento – quando appunto i francescani contribuiscono alla rivalutazione della sua figura – lo troviamo in nuove rappresentazioni della natività di Gesù dove, assieme a Maria è in ginocchio davanti al figlio per adorarlo.
San Giuseppe appare talmente umile che non sembra capace di soccorrere i fedeli come potrebbe dirsi di altri eroici santi come Michele, Martino o Giovanna D’Arco. Nel cristianesimo antico Giuseppe era distinto come l’ultimo patriarca, l’anello di unione fra l’antica epoca dell’ebraismo e la nuova epoca di avvento del cristianesimo, e proprio per questo è stato rappresentato spesso lontano dalla scena principale, testimone dell’incarnazione di Cristo, ma figura dell’ultimo ebreo, che come copricapo talvolta portava proprio il berretto a tre punte imposto in molte città medievali agli ebrei.
Il culto di san Giuseppe, incentrato sulla sua umiltà e sul servizio a Gesù, nasce in ambiente monastico, spesso con sfumature mistiche, come in san Bernardo, che valorizza la sua intimità fisica con il figlio. Ma il vero riscopritore dell’importanza teorica del padre putativo di Gesù fu Il teologo e filologo francese Jean Charlier da Gerson, che influenzò l’ambiente universitario parigino del primo Quattrocento, riscoprì l’importanza del padre “adottivo” di Gesù proponendolo come modello politico di pace e di unione, in un momento di forte crisi del papato. Durante lo scisma d’Occidente il teologo Gerson infatti scrive che la Chiesa ha bisogno di nuovi punti di riferimento e di nuovi modelli di mediazione perché Pietro non sembra più sufficiente, e in un sermone pronunciato al concilio di Costanza propone Giuseppe come nuovo modello di guida politica, capofamiglia ma anche umile servitore di Gesù.
L’approccio di Gerson non ebbe seguito immediato, ma venne ripreso nel Cinquecento dai francescani, che fecero di san Giuseppe un esempio di padre spirituale, e quindi del clero, mediatore fra Dio e gli uomini. I francescani, nell’ambito della loro complessiva valorizzazione dell’umanità di Gesù, a proposero Giuseppe come esempio da seguire. Per loro diventa positiva la povertà della sacra famiglia e del suo umile custode, e per i loro superiori non usano il termine “abate”, che significa padre, ma quello di “custode”, attribuito appunto a colui che doveva custodire il piccolo Gesù e sua madre. Nel promuovere la figura di Giuseppe, più successo dei francescani ebbero però i Servi di Maria, primi a festeggiarlo il 19 marzo, poco prima della festa dell’Annunciazione. San Giuseppe costituiva infatti il modello comune del loro ordine, che ne legittimava l’identità impedendo una fusione con altri ordini mendicanti.
Il culto dello sposo di Maria, padre putativo di Gesù, si sviluppa quindi solo in età moderna, quando il santo comincia a essere un modello, non solo un protettore, e non diviene davvero una devozione popolare fino all’Ottocento, quando è valorizzato anche come lavoratore instancabile, in contrapposizione al socialismo dilagante. È nel 1870 che Pio IX lo dichiara protettore della Chiesa universale, e nel corso del Novecento gli verranno dedicate ben due feste, il 19 marzo come patrono e modello dei padri, e il 1° maggio come artigiano, chiaramente in contrasto con la festa d’origine socialista dedicata ai diritti dei lavoratori.
Ma al tempo stesso Giuseppe è stato per secoli anche modello per i padri naturali soprattutto nel Medioevo, un’epoca che dopo la svalutazione della paternità naturale di fronte a quella spirituale, aveva il problema di ricostruire in ambito cattolico il modello paterno di fronte alla Riforma che, abolendo il clero, aveva accentuato il ruolo del padre di famiglia. In questa lunga e affascinante storia Giuseppe dunque non compare mai come figura di potere, ma piuttosto si afferma come “mediatore” che risolve situazioni complicate. Diventa quindi impossibile non festeggiare i papà il 19 Marzo, indipendentemente dalla propria fede, ma ricordandosi dell’emblematica figura del San Giuseppe cristiano.
Nella tradizione popolare oltre a proteggere i poveri, gli orfani e le ragazze nubili, in virtù della sua professione, Giuseppe – viste le premesse – è anche il protettore dei falegnami, che da sempre sono i principali promotori della sua festa. Pare che l'usanza ci pervenga dagli Stati Uniti e fu celebrata la prima volta nel 1908, quando una giovane donna della Virginia decise di dedicare un giorno speciale a suo padre. Agli inizi la festa del papà ricorreva nel mese di giugno – in corrispondenza del compleanno di questo americano, il Signor Smart –. Questa usanza, quando giunse anche in Italia si decise di spostarla al giorno della Festa di San Giuseppe. In principio era addirittura festa nazionale, ma in seguito venne abrogata anche se continua ad essere un'occasione per le famiglie, e sopratutto per i bambini, di festeggiare i propri padri.
In altri Paesi di tradizione cattolica come la Spagna e la Francia la festa del papà viene festeggiata sempre il giorno di San Giuseppe, in quanto archetipo del padre e del marito devoto. La festa del 19 marzo in Italia è caratterizzata inoltre da due tipiche manifestazioni, che si ritrovano un po' in tutte le regioni d'Italia: i falò e le zeppole (dolci di pasta fritta ripieni di crema e guarniti da amarene). In accordo con il fatto che è protettore degli orfani e dei poveri in alcune zone della Sicilia, il 19 marzo è tradizione invitare i poveri a pranzo.
Poiché la celebrazione di San Giuseppe coincide con la fine dell'inverno, si è sovrapposta ai riti di purificazione agraria, effettuati nel passato pagano. In quest'occasione, infatti, si bruciano i residui del raccolto sui campi, ed enormi cataste di legna vengono accese ai margini delle piazze. Quando il fuoco sta per spegnersi, alcuni lo scavalcano con grandi salti, e le vecchiette, mentre filano, intonano inni per San Giuseppe. Questi riti sono accompagnati dalla preparazione delle zeppole che pur variando nella ricetta da regione a regione, sono il piatto tipico di questa festa
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