Tra i libri presentati quest’anno nel Laboratorio Urbano Emotivamente, mi ha colpito molto “Volevo fare il Sindaco”, che narra la storia politica di Gianni Liviano che, da commercialista impegnato nel sociale, vuole contribuire al benessere della sua città attraverso l’azione politica. Giunge alla candidatura a sindaco per la Città di Taranto nel 2007 ma, la sua scelta di non scendere mai a compromessi, non gli permette di emergere e lo costringe in due occasioni della sua vita a essere tutelato dalle minacce personali attraverso la vigilanza armata. Il tutto viene descritto in questo libro.
Buondì Gianni, lei contemporaneamente svolge il mestiere di dottore commercialista, fa volontariato ed è un politico della città di Taranto. Come fa a coniugare questi tre ambienti dove il sistema delle regole e dei principi sono completamente diversi?
Ritengo che una persona non possa essere portatrice di una dicotomia valoriale. Voglio dire che i valori e i principi che fungono da indicatori di percorso nella vita di una persona, devono essere sempre gli stessi a prescindere dagli ambienti che si frequenta e dai ruoli che in quegli ambienti si ricopre. Può solo cambiare la modalità in cui i principi e le regole vengono incarnati. I miei valori sono la centralità della persona, l’ansia di giustizia, la cultura della legalità, l’attenzione privilegiata verso gli “ultimi” quando faccio il commercialista, quando provo ad essere utile a persone in situazione di difficoltà, quando provo (provavo) a fare politica.
Il suo libro “Volevo fare il Sindaco” ripercorre le vicissitudini che hanno portato prima al commissariamento e poi alla nomina a sindaco del dottore Stefano per la città di Taranto. Vista l’attuale situazione di Taranto, secondo lei, la città è migliorata o peggiorata rispetto al dissesto?
A mio parere il dottor Stefano e la sua giunta hanno addormentato la speranza di cambiamento che Taranto aveva manifestato dopo il dissesto. Hanno quasi ammorbato l’idea che cambiare, migliorare, costruire percorsi altri e alti, è possibile. Il buonismo, le frasi fatte del dottor Stefano non agevolano l’ansa di rinascita, la costruzione del futuro nel nostro territorio, né in verità facilitano la risposta a molti dei bisogni del presente.
Nel libro appare evidente che se fosse diventato Sindaco nel 2007 avrebbe attuato un programma che stava definendo durante la campagna elettorale, in cosa consisteva?
A Taranto nei vent’anni che hanno preceduto l’elezione a sindaco del dottor Stefano, ben 6 sindaci su 7 hanno sperimentato, durante il periodo in cui hanno ricoperto il ruolo di primo cittadino, problemi giudiziari e credo almeno 5 tra questi 6 la permanenza in carcere. Nel 2006 c’è stato il dissesto finanziario del comune. Questi dati parlano da soli e raccontano di come Taranto sia stata spesso amministrata da personaggi dalla moralità dubbia e dalla capacità discutibile.
Questi dati però raccontano anche di una città debole, dalla forte cultura clientelare, dall’innata vocazione ad essere assistita. I sindaci non si nominano da soli: se la gente li vota è perchè li apprezza, perché si rispecchia nei valori, nei progetti e negli stili proposti, o semplicemente perché ha aspettative personali di rientro, perché omologa una cultura di “do ut des”: io ti voto e tu mi dai qualcosa in cambio. Qualunque sia la ragione occasionale, la città ha scelto negli anni sindaci, di colore politico differente i cui nomi sono poi terminati, spesso, in fascicoli giudiziari. A mio parere una città di questo tipo avvertiva il bisogno di una sorta di rivoluzione culturale: di un passaggio da una cultura di assistenzialismo ad una cultura di partecipazione.
Una rivoluzione etica che non riguardava esclusivamente l’attenzione verso la legalità, verso l’onestà, ma che concerneva anche l’efficienza e l’efficacia delle scelte. La scommessa più grande per il futuro di Taranto è comprendere: qual è il progetto economico per il futuro? Quale ruolo deve giocare nei prossimi vent’anni la grande industria? In che maniera si deve rapportare con le legittime aspettative ambientali dei cittadini? Il futuro va progettato, pianificato, costruito. Non si può aspettare che ti piombi addosso senza programmarlo.
In cosa sarebbe cambiata la situazione se fosse diventato Sindaco?
Non abbiamo nessuna controprova perché non sono diventato sindaco, ma di una cosa sono certo, avrei valorizzato e messo a rete le migliori competenze del territorio. Non puoi uscire dal degrado in cui vive Taranto circondati di mediocrità, devi valorizzare i migliori, i competenti, quelli bravi e non premiare solo quelli che ti garantiscono fedeltà a prescindere dalle loro reali capacità.
Di cosa ha bisogno oggi la città di Taranto per migliorare la sua situazione?
Mi sono permesso di dirlo prima, a mio parere di una rivoluzione culturale, di una capacità della città di uscire fuori dal qualunquismo e dai luoghi comuni di cui spesso è vittima, per indossare i panni buoni dell’I Care, delle competenze, della coscienza critica e propositiva, dell’ansia di essere insieme protagonisti di percorsi di rinascita e di riscatto.
Quale costo ha significato in termini di vita privata e lavorativa, la sua esperienza politica?
La politica è per antonomasia il luogo della mediazione e del confronto. La mediazione a volte può essere nobile, nell’interesse della gente, altre volte lo è di meno e riguarda solo le aspettative di sopravvivenza dei politici che la realizzano. I radicalismi, per quanto motivati da valori splendidi, da ansia di libertà, da desiderio autentico di farsi costruttori di bene comune, non servono a niente: sono inutili e dannosi. Io, anche nelle circostanza in cui a Taranto sono risultato il più suffragato tra tutti i candidati al consiglio comunale (2° nel 2000 e 1° nel 2005), non ho mai compreso la cultura della mediazione. Mi sono (spesso mi hanno) isolato etichettandomi come rompiballe, come uno che non “ci appartiene”, perché la mia non era una storia di partito, né di corrente, né di fazione.
Ho sbagliato io perché la politica reale è una cosa diversa da quella in cui ho creduto. Da solo non la cambi. Mi sono fatto male politicamente (ora sono fuori), umanamente (spesso ho sperimentato la solitudine) e professionalmente. Essere persone libere però, per quanto possa far soffrire, non ha mai alcun prezzo.
Si può avere successo in politica senza scendere a compromessi?
Non lo so.
Si ricandiderà nel prossimo futuro?
La passione per la politica è sempre molto forte, ma ti candidi quando pensi di potere essere sintesi di interessi, di prospettive, di sogni e di bisogni condivisi. Non so se sono ancora sintesi di percorsi condivisi.
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