La raccolta differenziata che non c’è, gli impianti che ancora tardano, un sistema che continua ad affidarsi quasi interamente sulle discariche. La crisi dei rifiuti è tutta qui, nelle idee di un piano ambizioso che faticano a diventare realtà: non un problema strutturale, dunque, ma le conseguenze di una fase transitoria che sta durando più del previsto.
Se il sistema resta ancora in equilibrio lo si deve al fatto che la Puglia continua a depositare 1,9 milioni di tonnellate l’anno nelle sue 17 discariche, molte delle quali sono ancora private nonostante una legge regionale che lo vieta. Eppure, per ridurre lo stoccaggio, il piano rifiuti di Vendola puntava al 55% di raccolta differenziata: un obiettivo ancora lontanissimo, dal momento che siamo fermi all’11%.
Il meccanismo dovrebbe funzionare più o meno così. Il contenuto del sacchetto «indifferenziato» deve essere trattato dagli impianti di biostabilizzazione (per motivi igienico-sanitari) e sottoposto a separazione: ferro e vetro si possono riutilizzare, una parte della frazione secca si trasforma in Cdr (combustibile da rifiuto, che viene incenerito), una parte di quella umida è utile per ripristini e colmature delle stesse discariche. Tutto ciò che rimane, invece, va stoccato in discarica: secondo il piano regionale non oltre il 35% del totale. I sacchetti della raccolta differenziata devono invece essere trattati per dividere il secco dall'umido. Il secco «pulito» (carta, cartone, plastica) si ricicla, l’umido «di qualità» diventa compost per l’agricoltura. E il resto, come al solito, va in discarica.
Tutto questo meccanismo ha bisogno di discariche più piccole rispetto a quelle attuali, ma soprattutto di impianti: biostabilizzazione, selezione, compostaggio, per non dire degli inceneritori. Il problema è proprio che non tutti gli impianti sono stati completati. Corigliano D’Otranto, ad esempio, che dovrebbe servire il bacino Lecce 2: si è scoperto che lì sotto c’è una falda da cui Aqp preleva acqua da bere. Ma anche il nuovo impianto di Ugento: la cava in cui doveva sorgere la discarica di soccorso conteneva 2.600 tonnellate di rifiuti speciali che è stato necessario rimuovere. Da questo punto di vista, l’emerg enza non riguarda solo il Salento.
La discarica di Giovinazzo, per dire, è quasi esaurita e dei nuovi impianti nemmeno l’ombra. I lavori per la discarica di Grottelline, che deve servire i 9 comuni del bacino Bari 4, sono ancora impantanati: l’immondizia va a Conversano e Andria, con un pauroso incremento dei costi di trasporto. Ancora: c’è il caso di Deliceto, dove per fortuna è stata riaperta la vecchia discarica. Per non parlare dei ricorsi amministrativi: il 12 febbraio, ad esempio, al Tar di Bari si discute sulll’ampliamento della discarica di Grottaglie, quella che da sola tiene in piedi mezzo sistema. L’elenco è ancora lungo, nonostante la Regione dica di aver completato «4 impianti su 8». C’è Brindisi, dove gli impianti sono sì stati realizzati ma non aprono perché sono nati già vecchi. E poi ci sono gli impianti di Trani (dove Fitto aveva previsto un termovalorizzatore che Vendola ha cancellato), e ancora Vieste e il Gargano.
Certo, la situazione è molto diversa rispetto alla Campania. E il caso salentino è dovuto a una combinazione esplosiva di elementi. Ma il dato certo è che, in attesa di uscire dal tunnel, la Puglia ha un disperato bisogno di discariche.
Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno on the web
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