Sono sempre più convinto, ed ho più volte affermato, che scopo della scienza è quello di fornire risposte, mentre scopo dell'Arte è stimolare domande. Quali siano queste domande, se siano o meno degne di risposta, se siano pleonastiche o capziose, indagatorie od oziose è – tutto sommato – quasi irrilevante.
Una volta stimolata la domanda l'opera d'arte ha esaurito il suo compito e quanto segue esula dal suo interesse. Le opere di Alessandro Mattia Mazzoleni esposte presso la galleria comunale de “L'Acchiatura” di domande ne stimolano in quantità e di certo non lasciano indifferente neppure lo spettatore più distratto. La prima domanda che sorge spontanea, dopo aver visto un ritratto fotografico dell'artista, è certamente quella relativa alla sua età: possibile che un ragazzo così giovane abbia la capacità tecnica ed artistica necessaria per l'elaborazione di opere come quelle in mostra? Una domanda quasi obbligata, eppure senz'altro catalogabile tra quelle inutili... che Mazzoleni abbia meno di quarant'anni o più di sessanta in fondo importa poco, sicuramente meno di quanto aggiunge al valore delle opere esposte.
Opere che nella loro apparente semplicità esprimono però una salda capacità concettuale ed una vena immaginifica non comune, non nascosta ma – anzi – esaltata – perfino dalle nette geometrie cromatiche di opere come “Evidenze” “Sovrapposizioni” o “Vele luminose”. Le linee si fanno più curve ma i colori mantengono le loro cesure nette in “Natura morta” o in “Forme spazi colori”, mentre in “Maternità”, “Totem e tabù” ed altre anche gli effetti cromatici si fanno più avvolgenti e morbidi. Diverse opere si esprimono attraverso il nero e l'oro, in una sorta di yin-yang alchemico ed emotivo; se lo “Omaggio ad Indro Montanelli” è una sorta di lente di ingrandimento sulla tastiera di una macchina da scrivere dei tempi che furono, le altre opere si tuffano intriganti in un esoterismo emotivo che rinuncia al logos previlegiando il pathos: dalle piccole tracce di “Frammenti” alla debordante ampiezza di “L'ottava sole-luna” sino all'equilibrio instabile ed evocativo di “Artemide ed i suoi attributi” o di “Deucalione ed il lancio delle pietre sacre”, per giungere infine a “Il Cerchio”, “Presenze” o “Creazione”, con tracciati essenziali e frastagliati, secchi e sbalzati, a metà tra il crop circle e la foto di un tratto di costa marina ripresa da un satellite ed elaborata al computer.
In tutto questo, presenta a volte invisibile ed a volte sfrontata, il cartone: un materiale umile e “banale” per alcuni, un materiale che solimante nasconde e protegge e che in questo caso svela e smaschera, come acutamente osserva Stefania Calabrò nella sua disanima dell'opera di questo artista così giovane e già dotato di una biografia da romanzo. Le opere esposte, giova dirlo, non sono certo di facile lettura, ma questo aspetto, lungi dall'essere un difetto, conferisce ulteriore interesse alla esposizione, che può essere un utile momento di confronto tra esperienze locali e stimoli stranieri, per evitare di cascare nel banale e stantio giochetto delle recensioni a vicenda.
La mostra è aperta sino al 8 maggio presso la galleria comunale “L'Acchiatura”, dal martedì al venerdì dalle ore 17,00 alle ore 20,00 e sabato e domenica dalle ore 10,00 alle 12,00 e dalle ore 17,00 alle ore 20,00 con ingresso libero.
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